Un grido si leva contro la sovranità perduta,
contro le lettere da Bruxelles, i «compiti a casa»
e le ingerenze di poteri lontani. L’unica strada
per crescere sembra essere altro debito pubblico,
l’uscita dall’euro appare non solo una minaccia
credibile, ma un’eventualità percorribile.
L’incauto e miope incedere tedesco minaccia
di distruggere l’Europa dall’alto della propria
visione del mondo, fatta di regole, parametri e
percentuali. E intanto i governanti italiani, ligi e
rispettosi ai dettami degli eurocrati di Bruxelles,
sono conniventi col nemico. Sforare, disobbedire,
alzare la voce rimane l’unica via sensata da
percorrere, mentre la Germania, potenza egemone
dell’Unione Europea, supremo guardiano
dell’austerità, è il nostro carceriere.
O forse no. Forse ci siamo raccontati la favola
della Germania cattiva che ci obbliga a fare cose
che ci fanno del male, perché, molto semplicemente,
quelle cose non le vogliamo fare, o vogliamo
assolverci dal non averle fatte, o vogliamo
scaricare altrove la responsabilità delle nostre
azioni. E se la Germania, anziché il nemico fosse
in realtà un gigantesco alibi? Se anziché il problema
fosse la sua soluzione?